Roma, Anno Domini 145
Il martello di Lucio Fabius, giovane scalpellino della corporazione degli aurifices, batteva sul marmo con la precisione di un poeta. Stava lavorando a una delle colonne del nuovo tempio che Antonino Pio, imperatore giusto e devoto, aveva ordinato di costruire in onore del suo padre adottivo, Adriano, morto otto anni prima e divinizzato dal Senato.
Il tempio, situato nel cuore del Campo Marzio, cresceva ogni giorno, colonnato dopo colonnato, come un monumento non solo al potere, ma alla memoria. Ma Lucio non lavorava con animo leggero. C’era un segreto che lo tormentava.
Durante uno dei primi scavi, aveva trovato — nascosto tra le fondamenta di un’antica costruzione — un rotolo di pergamena scritto in greco, la lingua amata da Adriano. Era una lettera, forse autentica, forse apocrifa. Parlava di un complotto… di un’adozione forzata… e di un figlio illegittimo lasciato morire per non ostacolare la successione imperiale.
“Il potere si costruisce non sulla pietra, ma sul silenzio.”

Lucio sapeva che consegnare quel documento avrebbe significato la sua morte. Ma tenerlo con sé era un peso che cresceva di giorno in giorno, come le colonne del tempio che stavano erigendo.
Il giorno dell’inaugurazione, Antonino Pio si presentò in toga cerimoniale, circondato da senatori e vestali. I canti riecheggiavano tra le colonne alte e bianche. L’incenso bruciava. La folla esultava.
Lucio, nascosto tra gli architravi, osservava. Sotto la statua dell’Imperatore divinizzato, nascose la pergamena. Nessuno l’avrebbe mai trovata lì — o almeno così pensava.
Secoli dopo, nel cuore di una Roma moderna, tra i resti inglobati in un edificio della Borsa, il mistero della lettera resta sepolto. Ma il tempio, pur mutilato, svetta ancora, custode silenzioso dell’ombra di un imperatore e delle verità che non si possono scolpire nella pietra.